L’ignota, con la maschera della femme fatale
La recensione. Un ruolo decisamente impegnativo vede protagonista Lucrezia Lante della Rovere nello spettacolo “Come tu mi vuoi”, in scena al Teatro Sala Umberto sino al 17 febbraio. Si tratta di una pièce scritta da Luigi Pirandello, composta a cavallo tra gli anni venti e gli anni trenta del Novecento. La regia è diretta da Francesco Zecca su un libero adattamento di Masolino D’Amico.
È sorprendente la completa disinvoltura con cui Lante della Rovere interpreta due diversi ruoli. È prima una femme fatale, una donna ambigua, l’Ignota, che intrattiene una duplice e perversa relazione contemporaneamente con lo scrittore Carlo Salter e la figlia di quest’ultimo. È una ballerina in sottana che ammicca e balla intrattenendo i clienti di un locale (costruito sulla scena tramite una cornice di luminose lampadine). In un secondo momento Lante della Rovere diventa una neosposa friulana (dopo che il Signor Boffi è convinto di riconoscere nell’Ignota la moglie di un suo amico, scomparsa durante la prima guerra mondiale).
Sul palco si esibisce una nutrita compagnia composta da Crescenza Guarnieri, Simone Colombari, Raffaello Lombardi, Arcangelo Iannace, Andrea Gherpelli, Francesca Farcomeni. Di grande impatto visivo la scena che vede gli interpreti completamente immobili, mentre rappresentano dei personaggi raffigurati in un quadro. Rimangono incorniciati mentre la vita scorre davanti a loro.
Lo spettacolo ripercorre chiaramente note tematiche pirandelliane come il relativismo psicologico e il sentimento di alienazione dell’uomo. Ogni personaggio indossa una maschera; assume una forma che muta a seconda di chi sia l’osservatore. Siamo uno e centomila ci ricorda l’Ignota. Infine ci si spoglia completamente del proprio “essere” tanto da divenire nessuno. A questo proposito è emblematica l’immagine della locandina che rimane impressa nella memoria, in cui è rappresentato un manichino con il volto della Lante della Rovere.
Un manichino: un corpo privo di anima, destinato all’immobilità, un “non essere”.
Monica Menna