Teatro

Dalla torre d’avorio al ring per lo scontro tra arte e potere

La recensione della prima. Da una parte c’è il Maggiore Steve Arnold – interpretato da Luca Zingaretti – dall’altra c’è Wilhelm Furtwängler – interpretato da Massimo de Francovich -; soldato italo americano il primo, direttore d’orchestra tedesco il secondo. Il palcoscenico diventa il ring in cui confrontarsi e soprattutto scontrarsi. Il duello a parole assume ritmi concitati, intensi, ricchi di suspense.

La torre d’avorio, spettacolo in scena al Teatro Eliseo sino al 24 marzo, racconta l’indagine di “denazificazione” su personalità che avevano aderito e lavorato per il regime di Hitler, sullo sfondo della Berlino del secondo dopoguerra.

Il maggiore Arnold concentrò l’indagine proprio sul celebre direttore d’orchestra Furtwängler, realmente esistito, che decise di rimanere in Germania dopo la proclamazione di Hitler a Cancelliere nel 1933. Molti altri artisti scelsero di emigrare non allineandosi al regime o subirono una violenta repressione, Furtwängler invece decise di rimanere in Germania. La sua permanenza sul suolo tedesco potrebbe essere interpretata – ad avviso dell’accusa – come asservimento al Nazismo, al potere.

La straordinarietà de “La torre d’avorio” risiede nel suo testo, opera di una penna sopraffina come quella di Ronald Harwood (premio Oscar per la sceneggiatura del “Pianista” di Roman Polanski), presente in sala alla prima romana, nella maniera di raccontare punti di vista completamente differenti, nel rappresentare delle verità tutte plausibili. Coesistono visioni del mondo antitetiche. Si espongono tesi e antitesi in modo neutrale, rimandando allo spettatore il compito di riflettere e prendere posizione.

La pièce apre a tanti spunti riflessivi come quello incentrato sul rapporto contrastante tra cultura e potere, sul desiderio dell’autorità di controllare l’arte e la funzione di quest’ultima nella società. Tema imperituro che ha interessato più epoche nella storia, sempre estremamente attuale.

Come ha sottolineato Masolino d’Amico – cha ha tradotto il testo dall’inglese – il titolo prescelto “La torre d’avorio” allude alla condizione di isolamento orgoglioso che l’artista crede, forse a torto, di potersi permettere sempre.

Gli attori che si esibiscono sono tutti decisamente all’altezza di questo testo così arduo, mantengono alta la tensione negli spettatori riuscendo persino a strappare qualche ironico sorriso. Ci sono Peppino Mazzotta (volto noto della fiction del commissario Montalbano, al fianco di Zingaretti), Gianluigi Fogacci, Elena Arvigo, Caterina Gramaglia che costituiscono una compagnia di alto livello.

Dulcis in fundo i già citati protagonisti Luca Zingaretti (che è anche regista dello spettacolo) e Massimo de Francovich: due duellanti agguerriti che attraverso le parole sferrano colpi sferzanti.

Monica Menna