Zeno si frantuma in identità perennemente a confronto
La recensione della prima. “La coscienza di Zeno”, in scena al Teatro Quirino sino al 14 aprile 2013, vede protagonista uno straordinario Giuseppe Pambieri e alla regia un maestro del teatro italiano e internazionale quale Maurizio Scaparro.
La pièce è costruita sull’adattamento del romanzo di Italo Svevo che Tullio Kezich realizzò nel 1964, portato sulle scene per primo da Alberto Lionello nello stesso anno, quindi da Giulio Bosetti con la regia di Egisto Marcucci nel 1987 e da Massimo Dapporto con la regia di Piero Maccarinelli nel 2002.
Nello spettacolo si riproduce la tecnica narrativa del narratore interno che Svevo aveva adottato per il proprio romanzo. Il narratore e protagonista che espone in prima persona la propria storia è Zeno Cosini (interpretato appunto da Pambieri) che ormai vecchio racconta le proprie memorie perché indotto dallo psicanalista presso cui è in cura (che compare proprio a inizio spettacolo).
Pambieri è eccezionale nel mettere in risalto la senilità di Zeno come condizione soprattutto psicologica e metaforica. E ancora è bravissimo nel passare velocemente dall’interpretare sia lo Zeno anziano che quello giovane in una continua dialettica di punti di vista, manifestando idee e sentimenti che sono diversi nelle varie fasi della vita. Zeno si frantuma così in una serie di identità perennemente a confronto convivendo nel presente della memoria del narratore (una scelta narrativa questa che nel romanzo destruttura la linearità del racconto tradizionale e l’unitarietà del personaggio ottocentesco).
Si procede nella finzione scenica, così come era nel romanzo, attraverso grandi temi (il fumo, la morte del padre, il fidanzamento, il matrimonio, il tradimento, la costruzione di un’associazione commerciale). Ogni scena proposta comporta anche un complesso cambio scenografico attraverso lo spostamento continuo di maestosi pannelli.
Pambieri dona al suo Zeno contraddittorietà e mutevolezza caratteriale. Si racconta di Zeno che si avvicina alle figlie di Malfenti solo perché vorrebbe essere un commerciante perfetto, convinto che una famiglia sana e solida possa rendere anche lui sano e solido. Scopo questo perseguito in modo bizzarro; chiedendo nella stessa serata in moglie tutte e tre le sorelle in una scena quasi comica. Zeno non è mai consapevole che tale comportamento è la manifestazione della malattia morale che lo affligge, di una sua inettitudine a vivere pienamente la vita.
E proprio tale inettitudine si converte in leggera ironia. La crisi di valori e certezze dell’uomo assume così dei toni lievemente umoristici.
Monica Menna