Teatro della Cometa: otto personaggi tra alieni e alienazione
La recensione. Luca De Bei prosegue la sua riflessione teatrale sull’emarginazione che è una condizione sociale, ma anche soggettiva, psicologica. I suoi personaggi sono sconfitti dalla vita, vedono sfrecciare treni che non si fermano mai alle loro stazioni. “Nessuno muore” – l’ultimo lavoro, da lui scritto e diretto, in scena al Teatro della Cometa fino al 24 maggio 2015 – è un testo crudo ed impietoso, come gli altri di questo autore, ma il pessimismo di fondo è, in qualche modo, attenuato rispetto ad altri precedenti suoi testi.
Quello proposto è una sorta di “Girotondo” di Schnitzler in cui otto personaggi si incrociano a coppia sul palcoscenico, finendo per essere tutti connessi tra di loro. Ci sono: Marco (Michele Balducci) che è un ragazzo in contatto con gli alieni; Lidia (Maria Vittoria Argenti) la fidanzata di Marco che lavora in un supermercato, Francesca (Chiara Augenti) sorella di Lidia, ragazza con problemi di droga; Sandro (Andreapietro Anselmi) che è un uomo violento e razzista che si sta separando dalla moglie Teresa e soffre per il distacco dal figlio; Federico (Alessandro Marverti) dialoghista di soap opera, che sogna di fare il cinema; Guido (Giulio Forges Davanzati) poliziotto bisex, amante di Federico ed ex compagno di Francesca; Teresa (Federica Bern) che è psicologa, ex moglie di Sandro; Claudia (Arianna Mattioli), sorella di Marco, che è sceneggiatrice di soap opera e lavora con Federico. La pièce mette a nudo in alcuni casi i loro corpi, ma soprattutto le loro anime.
Lo spettacolo si rifà ad un precedente lavoro di De Bei (“Cellule”), ha anche alcuni tratti autobiografici (ricordiamo che l’autore è stato dialoghista della soap “Vivere” ed è sceneggiatore e dialoghista di “Centrovetrine”).
“Nessuno muore” non sfocia nell’ottimismo – non sono tempi di sorrisi – ma alcune situazioni sono lasciate a soluzione “aperta”, alla libera interpretazione dello spettatore. Lo stesso titolo non è una chiusura, ma un’apertura…
Nello spettacolo, in fondo, nessuno muore (tranne il cane); ciò vuol dire che la situazione può cambiare. I protagonisti sono come la piantina di Lidia, avvizzita dalla carenza d’acqua; però basta innaffiarla per farla tornare a vivere. I personaggi descritti sono così: tutti affamati di “irrigazione”, di amore che fa germinare la vita.
Ha fatto molto discutere la scena finale, ma forse è la chiusura giusta. Gli extraterrestri (tutti nella mente di Marco) sono comunque una via d’uscita da una situazione opprimente. Una fuga dalla realtà che può portare benefici, impedendo l’alienazione. Parafrasando si potrebbe parlare di “alien-azione”: forse da qualche parte nell’universo, salvarsi è possibile.
Monica Menna