“Il Betta e la Betta”, è il nuovo romanzo di Roberto Cristiano. Luce salvifica a Napoli
Romanzo dopo romanzo, lo scrittore e giornalista napoletano Roberto Cristiano, va caratterizzando il suo originale percorso narrativo, che si incentra sulla parola, sui dialoghi, sull’approfondimento e che ha un ritmo narrativo da palcoscenico. La sua quarta opera “Il Betta e la Betta” (Edizioni Progetto Cultura, settembre 2022, pp. 243, euro 16.50) – fa seguito alle precedenti “Ilmiosoloamicogiasone”, “Dalla sommità del cielo più alto” ed “Esmeralda” (di quest’ultima leggi qui la recensione, ndr).
“Il Betta e la Betta” è difficile da catalogare; per certi versi è un romanzo “rosa”, raccontando la tormentata storia d’amore tra Alessandro Betta ed Elisabetta Geraci, a tutti nota come Betta. I Betta erano speculari tra loro – come scrive l’autore nel suo romanzo – “erano due persone fortemente deluse dagli eventi che, con durezza, li avevano violentati nell’intimo dell’animo. Erano fortemente chiusi in loro stessi e non disposti a mostrarsi, a mostrare i lati che mostravano il loro dolore ed i motivi che li avevano causati”. L’autore usa, non a caso, molte volte la parola “mostrarsi”, forse a sottolineare come sia chiave di lettura.
È pure un romanzo esoterico, si pensi ad esempio al riferimento al principe stregone Raimondo di Sangro, ma soprattutto alla presenza, anche in questo contesto, del misterioso personaggio Aquis, Gran Maestro di un Ordine Templare (già presente in tutti precedenti romanzi di Cristiano).
È un romanzo colto, ricco di riferimenti e citazioni; è un romanzo psicologico (che scava nella psiche dei personaggi); è un romanzo su Napoli (ogni occasione è buona, per l’autore, per raccontare le sue vie ed i suoi respiri). È un romanzo religioso o meglio spirituale, iniziatico e salvifico. In quest’ottica è in evidenza: la lunga citazione, tratta dal libro “Dialogo tra un’anima illuminata e una priva di luce” di Jacob Böhme (filosofo, teologo, mistico e luterano tedesco, principale esponente del misticismo cristiano moderno); il richiamo all’unione tra l’umano ed il divino nella tradizione Sufi, riportando una poesia di Muhammad Ibn Arabi; il riferimento all’esoterismo cristiano di Rudolf Steiner.
“Il Betta e la Betta” è, insomma, un racconto “complesso”, ricco di contenuti e di personaggi descritti a fondo, caratterizzati a tutto tondo. La storia dei protagonisti principali fa da trait d’union a tutte le altre, le unisce.
La trama – nel contesto psicologico, filosofico, esoterico, narrativo, descrittivo che ha costruito l’autore – avanza con un turbinio di divagazioni, approfondimenti, citazioni: su Napoli (la storia del liceo vomerese Sannazzaro, quella della pizza a metro, San Raffaele e la fertilità, la squadra di pallanuoto Rari Nantes Napoli…); sulla musica sempre presente nelle sue opere (in particolare, in questo caso, di Battiato, riportando il testo di una sua particolarissima canzone (“Sarcofagia”, contenuta nell’album “Ferro Battuto” del 2001). E poi ci sono pure il richiamo alla lingua “Nu-shu” delle donne della Cina antica (unica lingua al mondo esclusivamente femminile), alla massoneria del Rito scozzese antico…
Tutto il racconto potrebbe perdersi nel labirinto di cultura, riflessione e introspezione creato, ma il noto Gran Caffè Gambrinus dove i due protagonisti si incontrano ripetutamente, è sempre un ritorno al presente, alla vita concreta, alla città in cui si vive. E poi, grazie anche ad un evento inaspettato e al deus ex machina Aquis, tutta la complessità si risolverà.
Nel romanzo – in quel luogo di accoglienza che è il Gran Caffè Gambrinus – compare anche Esmeralda (la protagonista del precedente volume di Cristiano). Lei, come Aquis, è anello di congiunzione narrativa.
Da sottolineare, poi, la bella, simbolica e significativa copertina dell’artista calabrese Antonio Tony Giuffré, con una bambina che mantiene palloncini-volti; al suo fianco un pesce colorato, con una citazione evidentemente al mare, visto come donatore di fecondità ed al pesce di San Raffaele; in primo piano, sempre nel disegno di copertina, un neonato (di cui si comprenderà l’importanza nella lettura del libro).
Come annota Mauro Silani, nella dotta introduzione, il ruolo di Napoli nel racconto di Roberto Cristiano, che è quello di “una città vista come incarnazione divina in un corpo mistico accogliente sì, ma da giusta maestra che corregge e accompagna, con amorevole durezza e severa dolcezza, l’evoluzione materiale e spirituale di ogni anima che attraversa”.
“Bisogna affrontare il buio per tornare alla luce”, scrive Silani nell’introduzione; “Addà passà ‘a nuttata”, avrebbe aggiunto Eduardo.
La luce dopo il buio: il romanzo si chiude fuori San Pasquale a Chiaia, una delle Chiese storiche di Napoli. Lì, tutti i personaggi si ritrovano, al termine di una cerimonia, per l’ultima fotografia. Un momento corale, di sintonia anche spirituale, “per uno scatto semplicemente magico”.
Monica Menna