Teatro Quirino: Lello Arena, Arpagone partenopeo
La recensione. Una suggestiva scenografia di grandissimo impatto visivo conduce gli spettatori nel mondo de “L’avaro” di Molière, in scena al Teatro Quirino fino al 27 ottobre 2013.
Teche di vetro risaltano nella penombra del palcoscenico. All’interno sono custodite delle sedie di diversa tipologia. Sedie che nessuno può occupare. Sono oggetti conservati con estrema cura, come preziose reliquie, a cui l’avaro Arpagone tiene sicuramente più dei propri figli.
Il mondo dell’avaro è una realtà fredda, asettica, privata dei sentimenti più naturali (come può essere l’amore di un padre per la prole), dove appunto si amano maggiormente le cose inanimate. Un mondo che ruota intorno al denaro da accumulare, a doti da ottenere, a cassette piene di monete da nascondere alla vista degli altri.
Spicca decisamente Lello Arena nei panni dell’avaro Arpagone che assume con lui venature partenopee, trasportando il pubblico in un’immaginaria Napoli seicentesca. Con la sua interpretazione Arena riesce ad essere allo stesso tempo ironico e odioso. Allontana i due figli per circondarsi di servitori e adulatori. E così si è continuamente in bilico in un susseguirsi di momenti farseschi e momenti tragici.
Particolarmente curati risultano anche i costumi di scena. Abiti imponenti d’epoca sia per uomini che donne. Gonne ampie, a ruota, parrucche e cappelli sfarzosi.
Un applauso anche agli altri attori in scena, tutti calati alla perfezione nei propri ruoli: Fabrizio Vona, Francesco Di Trio, Valeria Contadino, Giovanna Mangiù, Gisella Szaniszlò, Fabrizio Bordignon ed Enzo Mirone.
Il bello dell’adattamento della pièce, puntualmente diretta da Claudio Di Palma, risiede nella capacità di attualizzare un classico teatrale, donandogli sfumature di contemporaneità. D’altronde il dio denaro governa anche il mondo odierno…
Monica Menna