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“Ho paura torero”: al Teatro Argentina il dialogo tra palco e platea svela la forza “politica” della lingua di Lemebel

Un incontro di approfondimento interessante e partecipato quello che si è svolto l’11 aprile alla Sala Squarzina del Teatro Argentina, con protagonista Lino Guanciale e la compagnia dello spettacolo Ho paura torero, in scena nella capitale fino al 17 aprile.

L’appuntamento, nato dal desiderio di esplorare le peculiarità di uno degli spettacoli più avvincenti della stagione teatrale in corso, ha offerto spunti di riflessione preziosi per il pubblico, giunto numeroso al focus di approfondimento, nonostante le 54 repliche complessive totalizzate (all’11 aprile 2025) dal lavoro in tournée.

Come avevamo già sottolineato nella nostra recensione del 3 aprile su Altrescene, lo spettacolo diretto da Claudio Longhi si distingue per la sua capacità di intrecciare passione, resistenza e una lingua vivida e potente. Proprio la peculiarità della scrittura di Pedro Lemebel è stata uno dei fulcri dell’incontro.

Dalle riflessioni condivise tra il palco e la sala è emersa con forza la dicotomia del “sogno”: quello ad occhi aperti e vivido della Fata, protagonista queer che incarna un desiderio di libertà e bellezza, contrapposto al “sogno” ad occhi chiusi e oppressivo di Pinochet. Si è inoltre evidenziato come la caricaturale rappresentazione del dittatore e della moglie, lungi dall’essere una semplificazione, sia una precisa scelta stilistica voluta dall’autore del romanzo omonimo da cui lo spettacolo trae origine.

Nella recensione avevamo sottolineato l’importanza, per il romanzo di Pedro Lemebel e dello spettacolo teatrale, della musica cilena. Nell’incontro si è fatto presente che – per chi volesse immergersi ulteriormente nelle atmosfere sonore che hanno ispirato il romanzo e accompagnano la rappresentazione teatrale – il Piccolo Teatro di Milano ha curato una playlist su Spotify intitolata “Ho paura torero / le musiche”. Un’occasione per ascoltare i brani che risuonano tra le pagine del libro e sulla scena.

L’incontro ha offerto anche l’opportunità di scoprire la genesi di questo progetto teatrale. Un vero e proprio colpo di fulmine scoccato in casa Guanciale, grazie a un regalo della moglie all’attore: il libro “Ho paura torero” di Pedro Lemebel. Una lettura che ha immediatamente acceso la scintilla creativa in Guanciale e nel regista Longhi – folgorati dalla scrittura creativa di Lemebel e dalla potenza del suo racconto – portandoli alla decisione di trasporre questa narrazione intensa sul palcoscenico.

Proprio sulla scelta di una trasposizione che si configura come una narrazione teatrale, fedele al testo letterario ma animata dalla presenza fisica dei personaggi (un equilibrio tra racconto e recitazione), abbiamo posto come domanda dalla sala a Lino Guanciale, in veste di drammaturgo dell’opera. La sua risposta ha chiarito la profonda motivazione dietro questa scelta stilistica:

“Per la drammaturgia è stata fatta una scelta politica precisa – ha risposto Guanciale -. Realizzare un adattamento dialogico, ovvero una drammaturgia più convenzionale (che non significa banalizzare il testo, ma compiere un lavoro di architettura, di vera e propria traduzione) sarebbe stato in realtà più semplice, data la natura del testo ricco di trama. Non sarebbe stato difficile costruire una drammaturgia distesa e più tradizionale. Cosa si sarebbe perso? Sicuramente il 65% del linguaggio di Pedro Lemebel: la sua particolarissima lingua, il suo peculiare processo di aggettivazione per terminazione spontanea. Questo all’interno di strutture sintattiche molto semplici in cui si innestano complessi mondi aggettivali che intensificano il significato di frasi basilari. Ecco, tutto questo lo avremmo perso in un adattamento dialogico in forma di sceneggiatura, e sarebbe stato un peccato. Questa è una valutazione che abbiamo condiviso con il regista Longhi”.

Ha proseguito Guanciale: “Crediamo che per Pedro Lemebel gli aspetti estetici non siano mai scindibili da quelli politici. Questa verticalizzazione aggettivale così inventiva, così esplosiva, così fisica – perché è un linguaggio molto fisico. Facciamo un esempio: il silenzio che riempie la stanza nel momento in cui hanno preso Carlos e forse stanno per prendere anche la Fata, per Lemebel è un silenzio ‘obeso’; rimanda all’immagine fisica, tattile, corporea, e questo ha un valore politico. Non volevamo una cosa, tra virgolette, ‘che funzionasse’ in modo scontato. Volevamo portare a teatro questo romanzo, questo autore, con la massima potenza del suo linguaggio. Per questo abbiamo intrapreso la strada dell’edizione teatrale sulla falsariga ronconiana, pur con delle differenze. Nel nostro testo c’è una maggiore alternanza di voci in prima persona rispetto, ad esempio, al Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Ronconi, che è quasi interamente in terza persona. Volevamo restituire il più possibile agli spettatori e alle spettatrici la potenza della lingua di Lemebel”.

“È chiaro – ha aggiunto – che per l’attore deve scattare un meccanismo interiore per riuscire a rendere questa lingua, e anche per gli spettatori e le spettatrici deve scattare un ‘click’, perché si tratta di accettare un patto diverso dal solito, che la scena propone. Persino la scelta degli spettatori ha un valore intrinseco in questa operazione. Per concludere, nonostante io sia convinto (da persona che ha lavorato sul testo) che lavorare su una drammaturgia più squisitamente teatrale sarebbe stato senz’altro efficace, credo che politicamente ed esteticamente sarebbe stato riduttivo”.

Dunque le parole di Lino Guanciale hanno rimarcato con forza come la scelta di questa particolare forma di trasposizione teatrale sia stata dettata dalla volontà di preservare l’essenza stilistica, linguistica e politica dell’opera di Lemebel. Un atto di rispetto verso la sua voce unica e potente, che invita il pubblico a un ascolto attivo e a una partecipazione emotiva profonda.

L’incontro alla Sala Squarzina del Teatro Argentina si è confermato un’occasione preziosa per addentrarsi nelle dinamiche creative e nelle motivazioni artistiche che sottendono uno spettacolo di grande impatto come “Ho paura torero”. Un invito ulteriore a non perdere le ultime repliche al Teatro Argentina, per immergersi in un intreccio di passioni, resistenza e una lingua che si fa essa stessa strumento di lotta e di bellezza.

Gaetano Menna